L’impazienza di un leader
Matteo Renzi è impaziente. Conosceva le intenzioni del presidente del Consiglio. Sapeva che Letta si preparava a prendere la parola in Parlamento per esporre al Paese una versione aggiornata del suo programma e chiedere la fiducia delle Camere. Ma il sindaco di Firenze non è né deputato né senatore e ha preferito evitare un voto parlamentare spostando il dibattito là dove il podio sarebbe stato interamente suo. Il galateo democratico avrebbe richiesto una diversa procedura, ma l’impazienza non è necessariamente un difetto. Può anzi accadere, soprattutto in un Paese di cavilli e dilazioni, che la rapidità con cui Renzi ha rovesciato in pochi giorni la sua linea politica e organizzato la propria designazione possa sembrare alla pubblica opinione una prova di carattere e di energia. Le reazioni dei mercati e dei governi amici sembrano dargli ragione; e la fortuna, come è confermato dal giudizio di una agenzia di rating (che concerne peraltro i suoi predecessori) aiuta notoriamente gli audaci. Toccherà a lui, ora, convincere il Paese che potrà contare sulle sue promesse.
È questo, tuttavia, il punto su cui è lecito fare qualche domanda. Sino a qualche giorno fa il leader del Partito democratico sembrava convinto che l’Italia avesse bisogno, anzitutto, di due riforme istituzionali: una nuova legge elettorale, secondo i criteri concordati a suo tempo con Silvio Berlusconi, e un nuovo Senato. Senza queste due riforme il Paese avrebbe corso il rischio di tornare alle urne con un sistema proporzionale «puro» (che garantisce l’ingovernabilità) e avrebbe eletto un Senato che presenta un duplice inconveniente: raddoppia i tempi della politica nazionale e ha generalmente una maggioranza diversa da quella della Camera. Renzi ci spiegava allora che il presidente della Repubblica, dopo l’approvazione in Parlamento di quelle due riforme, avrebbe sciolto le Camere e permesso agli italiani di scegliere, infine, un governo. E aggiungeva che era quello il momento in cui lui avrebbe vinto la partita.
La stessa persona, tuttavia, ci dice ora che desidera governare sino alla fine della legislatura. Con quale legge elettorale? Con quale sistema bicamerale? Con quali alleati? Se continuerà a lavorare per una nuova legge elettorale e un nuovo Senato, dovrà mettere in conto la possibilità che le elezioni abbiano luogo subito dopo le due riforme. Se preferirà restare al governo il più a lungo possibile, cercherà di rinviare le riforme all’ultima fase della legislatura.
Vi è un altro aspetto del problema che nessun candidato alla presidenza del Consiglio dovrebbe dimenticare. Anche Renzi, come Silvio Berlusconi, ha cambiato lo stile e i tempi della politica italiana. Ma l’Italia non ha cambiato la sua Carta costituzionale ed è ancora il Paese dove il presidente del Consiglio è il più precario degli uomini di Stato europei. Quanti presidenti del Consiglio, nei panni di Letta, sarebbero stati costretti a dimettersi? Se Renzi non vuole correre lo stesso rischio, è necessario che nella sua agenda di governo vi sia anche il capitolo delle riforme costituzionali.
Sergio Romano, il Corriere della Sera
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