Gian Antonio Stella: Silvio, Matteo e l’Arte dei perfetti Venditori

«Meno rughe per tutti!», strillava uno dei manifesti finti che ridevano delle promesse del Cavaliere. E poi «Più dentiere per tutti», «Meno tosse per tutti», «Più Totti per tutti»... Un diluvio. Figuratevi quindi cosa sarebbe successo se fosse andato lui, in tv, a promettere come ha fatto Renzi, «Una casa per tutti». Apriti cielo! Quello slogan, per gli amici ma più ancora i nemici, è la prova: Matteo si muove nel solco di Silvio. Sull’età, a dire il vero, tra il giovane Silvio degli esordi e il giovane Matteo di oggi non c’è gara. Ricordate cosa scrisse anni fa, allegramente perfido, Mattia Feltri sul «Foglio» di Giuliano Ferrara? «Che bello il Cav. con il lifting. Non gli si darebbe più di quarant’anni. Con le attenuanti generiche, anche trentacinque». Ecco, Renzi non ha bisogno, come rise Le Monde, «di mantenere un aspetto giovanile, a volte con uno zelo quasi comico». A Palazzo Chigi lui c’è arrivato prima di spegnere 40 candeline e con una ventina di anni di anticipo rispetto al Cavaliere che al momento della discesa in campo andava per la sessantina. È vero però che i punti di contatto fra i due, esaltati dalle stralunate imitazioni di Maurizio Crozza, sono diversi.
Per cominciare, hanno un’ottima opinione di se stessi. Silvio, chiamato a descriversi, rispose: «Il mio ruolo? Attaccante, centrocampista, difensore e anche regista in panchina. Sono fruibile per qualsiasi ruolo... Sapete, sono un po’ montato». Matteo, quando strappò a Lapo Pistelli la candidatura a sindaco di Firenze, il trampolino di lancio della sua ascesa, mandò un amico (o almeno così dicono i suoi avversari) ad appiccicare fuori dalla porta del comitato elettorale dello sconfitto un cartello irridente: «Chiuso per manifesta superiorità».
Certo, entrambi sorridono del vizietto sdrammatizzando con l’autoironia. A tutti e due, in tempi diversi, l’Italia chiede miracoli? Il primo ne rise così: «All’Ospedale San Raffale una madre mi pregò di convincere il figlio bloccato provvisoriamente su una sedia a rotelle a riprendere a camminare. Mi presentai dal ragazzo e gli dissi: “Giacomo, fatti forza. Alzati e cammina...” Lui, dopo alcuni giorni, si alzò». Il secondo, ogni tanto ammicca: «Un amico mi ha detto: Dio esiste ma non sei tu». Stessa tecnica: meglio prendersi in giro, sul tema della vanità, prima che lo facciano gli altri...
C’è da capirli: mica facile tenere la testa sul collo tra i cori di certi laudatores dediti al turibolo e all’incenso. Tra gli adoranti del Cavaliere c’è chi si spinse, come Claudio Scajola, a dire: «Berlusconi è il sole al cui calore tutti si vogliono scaldare. Ha capacità di attrazione molto forti. È geniale. Di persone come lui ne nascono due in un secolo». «Chi è il secondo?», gli chiese mariuolo Claudio Sabelli Fioretti. E lui: «John Kennedy». Per Renzi, Carlo Rossella si è avventurato più in là: «Un magnifico incrocio tra Pico della Mirandola e Niccolò Machiavelli».
Non lavorano forse entrambi per la storia? «Conto di rivedere tutti i codici giuridici e, in primo luogo, quello delle imposte. Nel mio piccolo sarò Giustiniano o Napoleone», dichiarava il Cavaliere. «Io non voglio cambiare governo, voglio cambiare l’Italia», ha giurato il sindaco di Firenze.
Va da sé che, con tanti violini, trombe e grancasse intorno, capita perfino a loro due, nonostante le proverbiali sobrietà, modestia e riservatezza, di avere qualche brividino di importanzite. Come la volta che Matteo lanciò nell’aere un tweet in cui parlava di sé in terza persona come faceva Diego Armando Maradona: «Dicono Renzi non è di sinistra perché legati all’idea che è di sinistra solo quello che perde». Niente in confronto, tuttavia, con l’ego a soufflé dell’allora giovine (politicamente) Berlusconi: «Non voglio parlare di me in terza persona ma molto spesso mi viene comodo. Questo però non significa nessuna aumentata considerazione di me stesso. Anche perché più alta di così non potrebbe essere».
Niente, però, li accomuna, quanto la fissa del record. Ricordate Sua Emittenza? Primo in tutto. Nel calcio: «Sono il presidente più vincente di tutti e la storia del football si ricorderà di me». Nell’imprenditoria: «Io ho una caratura non paragonabile a nessun europeo. Solo Bill Gates, in America, mi fa ombra...». In politica: «Sono il recordman come presidente del Consiglio, visto che ho superato il grande politico Alcide De Gasperi che ha governato 2.497 giorni mentre io credo di aver toccato i 2.500 giorni». Matteo Renzi non è da meno: il presidente di provincia più giovane d’Italia, il sindaco di Firenze più giovane di sempre, il premier più giovane di tutti i tempi, l’inventore del governo con più donne che mai si sia visto...
E via con le riforme a raffica: o la va o la spacca. «Nel caso che al termine di questi cinque anni di governo almeno quattro su cinque di questi traguardi non fossero stati raggiunti», diceva il contratto firmato dal Cavaliere sotto gli occhi benedicenti di Bruno Vespa, cerimonioso ospite oggi di Renzi, «Silvio Berlusconi si impegna formalmente a non ripresentare la propria candidatura alle successive elezioni politiche». Parole non dissimili da quelle pronunciate dal neopremier: «Se non riusciremo ad arrivare al superamento del bicameralismo perfetto, non dico che terminerà questa esperienza di governo: dico che io lascerò la politica».
Spiegò una volta Silvio Magnago che «il segreto di una politica di successo consiste in tre cose. Primo: avere buone idee. Secondo: crederci fermamente. Terzo: metterci un pizzico di demagogia perché anche la merce buona bisogna poi saperla vendere». E su questo lo stesso Renzi, che pure ha mostrato di soffrire un po’ i paragoni, deve convenire: nel saper «vendere la merce» (buona o cattiva che sia) è difficile non vedere un parallelo. L’uno e l’altro, che siano intervistati da un giornale, ospiti in tv o chiamati a intervenire in Aula, non parlano ai giornalisti o ai colleghi: parlano direttamente ai loro elettori. Al popolo. Antonio Ricci, che conosce bene entrambi, l’ha detto: «Matteo è un venditore straordinario, al livello di Silvio giovane».
I parallelismi gli danno fastidio? Si consoli: il titolone «Renzi si sgonfia subito» fu preceduto nel 1994 dal giudizio di Roberto Maroni dopo l’esordio del Cavaliere: «Ho capito di che pasta è fatto. Fin che si parla si parla, ma poi... Magari arriverà pure alla presidenza del Consiglio ma poi quanto ci resta? Alla prima rogna si sgonfia e torna ad Arcore con la coda fra le gambe». È rimasto vent’anni.
Il Corriere della Sera
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